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Trucchi, unguenti e profumi: i segreti degli antichi Egizi per conservare giovinezza e bellezza

«Il tuo occhio con il khol diventa più grande, il tuo occhio contiene più amore, nel tuo occhio mi perdo, come in un cielo incantato…».

E’ una poesia d’amore dell’antico Egitto e parla del bistro, uno dei più antichi cosmetici della storia, usato - proprio come un antico eyeliner - per marcare la rima ciliare e allungare la linea delle palpebre.

Nella terra delle Piramidi la bellezza esteriore non era legata solo alla seduzione, ma anche alla spiritualità, alla salute del corpo e all’igiene, alle quali gli Egizi tenevano molto. Come tramanda Erodoto: «Essi preferiscono essere puliti piuttosto che belli. Indossano vesti di lino sempre fresche di bucato».

Il maquillage che allungava gli occhi «a goccia» riproduceva quelli del dio Horus

La cosmesi egizia era una vera scienza e ne abbiamo testimonianze in quantità fin dal 3900 a. C. Le antiche pitture tramandano, in modo dettagliato, il make-up e le acconciature che uomini e donne del Delta del Nilo utilizzarono per millenni, mantenendo come tratti di base l’utilizzo di colori forti, il contorno degli occhi e l’uso di pomate per levigare la pelle del viso.

UNA PRODUZIONE TIPICA

Secondo quanto riferisce Plinio il Vecchio, la maggior parte degli unguenti e dei trucchi più pregiati provenivano dall’Egitto. Solitamente, venivano realizzati in laboratori nei pressi dei templi e poi commercializzati in vasetti decorati con motivi geometrici, in alabastro, vetro o ceramica. Spesso questi contenitori recavano anche indicazioni sulle dosi e i modi di applicazione del prodotto. Vasi per khol, scatole per unguenti, specchi, cucchiai da belletto sono giunti fino a noi attraverso i corredi funerari e dimostrano quanto fossero presenti nella vita di tutti i giorni degli antichi Egizi.

Il COFANETTO DI MERIT

Fra questi oggetti, merita di essere citato lo straordinario cofanetto da toeletta di Merit, moglie dell’architetto Kha, «Capo della grande casa», vissuto intorno al 1400 a.C. Il reperto è conservato presso il Museo Egizio di Torino; proviene da Deir el-Medina e venne rinvenuto nel 1906 da Ernesto Schiaparelli nella tomba TT8. «Dopo venti anni di gioventù, venti di studi e venti di professione», come tramanda il papiro «Insinger», Merit, «l’amata da Dio», morì prima di suo marito Kha, il quale, come ultimo omaggio, le donò il sarcofago che aveva fatto realizzare per se stesso. Insieme a letti, panche, sgabelli, cofani, tele, tuniche, stoffe, vasellame in ceramica, metallo e pietra, i due sposi «portarono nell’aldilà» anche unguentari, vetri per profumi e bistro.

Come spiega la dottoressa Federica Facchetti, curatrice del Museo Egizio: «Il cofano è dotato di due coperchi: quello interno consentiva di mantenere stabili i contenitori degli unguenti per evitare che durante il trasporto si rompessero. I vasetti sono di varia fattura, alcuni realizzati in “faience” un materiale vetroso azzurro o verde reso particolarmente lucente dall’alto contenuto di silicio e grazie a una speciale cottura. In altri vasetti di alabastro sono ancora presenti dei residui di sostanze cosmetiche che presto saranno sottoposti ad analisi scientifica».

VALENZE RELIGIOSE

L’igiene personale era anche considerata strettamente correlata alla purezza interiore. Non a caso la giornata del faraone cominciava proprio con un complesso rito magico-religioso che comprendeva un bagno purificatorio, il trucco e l’incensazione. Il tipico maquillage che allungava gli occhi «a goccia» riproduceva quelli del dio Horus (non per nulla raffigurato con la testa di falco dagli occhi cerchiati di nero). Questi, secondo il mito, garantivano l’alternanza fra giorno e notte, luce e tenebra. Riprodurre quel disegno per le proprie palpebre voleva quindi dire ristabilire per se stessi equilibrio, salute e salvezza.

Trucchi-medicinali

Il clima torrido, il sole abbacinante e l’ambiente polveroso dell’Egitto non erano certo salubri per l’epidermide e gli occhi. Gli antichi creatori di cosmetici avevano quindi messo a punto trucchi dotati di potere protettivo o terapeutico. E’ il caso della malachite (carbonato del rame di colore verde intenso) e della galena (composto del piombo dal tono grigio scuro) cui venivano aggiunti grassi animali, cera d’api o resine per agglutinarli.

Tramite l’uso di tipici bastoncini di legno, questi pigmenti venivano stesi generosamente sulle palpebre proteggendo gli occhi dal tracoma, una malattia infiammatoria cronica della congiuntiva, di natura virale e contagiosa. Inoltre, evitavano l’emeralopia, ovvero l’abbassamento della vista al tramonto e curavano la congiuntivite.

Cofanetto porta cosmetici di Kemeni, Metropolitan Museum, New York

Gli studi compiuti dai ricercatori dei Musei di Francia, in collaborazione con i laboratori della casa cosmetica L’Oreal hanno svelato quanto fosse evoluta la cosmesi egizia identificando sostanze antisettiche come la laurionite e la fosgenite che non si trovano in natura, ma che dovevano essere state sintetizzate artificialmente dagli Egizi con procedimenti molto complessi.

PELLE E LABBRA

La lotta contro le rughe era cominciata già allora. Per levigare i segni del tempo si usava un ungento a base di cera d’api, incenso, olio di oliva amalgamati a latte fresco, che veniva applicato per sei giorni di seguito.

Per schiarire la pelle si usava un composto di alabastro, miele, sale e natron, (carbonato decaidrato di sodio) un sale molto usato anche per l’imbalsamazione.

Per conferire il colorito roseo al volto veniva, invece, impiegata l’ocra rossa, un pigmento naturale derivato da un minerale ferroso chiamato ematite la cui etimologia rimanda, non a caso, alla parola greca «sangue». Questa sostanza veniva applicata in polvere sulle guance, oppure, mista a un legante grasso o resinoso, fungeva da rossetto.

TINTA CURATIVA PER CAPELLI

Anche per la tintura di capelli e unghie si usava un prodotto terapeutico: l’henné. Esso veniva ricavato da un arbusto spinoso dal nome scientifico di Lawsonia inermis: i suoi rami, essiccati e polverizzati, fornivano un pigmento di colore rossastro, mentre le foglie, sottoposte allo stesso procedimento, ne producevano uno marrone. L’hennè possiede virtù antimicotiche, antibatteriche e astringenti ed è ritenuto efficace contro dermatite e seborrea.

Elisabeth Taylor nella parte di Cleopatra

PROFUMI

Le fonti storiche tramandano la fama dei profumieri egiziani, che fin dall’epoca più antica avevano messo a punto varie tecniche di estrazione dell’essenza del loto, del giglio, delle rose selvatiche e di numerose piante odorose spesso provenienti dalle oasi, dal Fayoum e dalla mitica Terra di Punt. L’identificazione precisa di questo luogo, fra Sudan ed Etiopia del nord, su cui ancora si dibatte, recentemente è stata attribuita all’antica città di Adulis, recentemente riportata alla luce da archeologi italiani in Eritrea.

I mercanti fenici procuravano, poi, agli egizi la famosa essenza del terebinto, un piccolo albero dai fiori rossi la cui resina era anche ricercata soprattutto contro la calcolosi. L’essenza del terebinto viene descritta anche in alcune poesie d’amore: «Ecco che tutte le strade che percorri si impregnano del profumo del terebinto e il loro odore diventa simile a quello che effonde a Byblos».

Tuttavia, uno dei profumi maggiormente in voga era il Kyphi, una mescolanza di 60 diverse essenze come ginepro, cedro, menta, pistacchio, cannella. Anche questo balsamo aveva proprietà medicamentose, come ricordava Plutarco: «Favorisce il sonno, aiuta a fare bei sogni rilassa, dà un senso di pace e spazza via le preoccupazioni».


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